È ancora difficile, per gli esperti di marketing, comprendere la generazione dei Millennials. Federico Capeci, CEO Italy e Chief Digital Officer – Insights Division, KANTAR ed autore del libro “Post Millennial Marketing”, analizza a fondo la Generazione Y e la Generazione Z per fornire insight e chiavi di lettura specifici per un marketing di nuova Generazione.

 

1) Cosa vuole comunicare esattamente con il suo libro? Perché ha scelto questa tematica?

I Millennials sono in molti paesi la generazione più popolosa, che influenza i consumi e muove l’economia, nonostante questo, molti non sono in grado di comprenderla a fondo e di sfruttare il loro potenziale. Li raccontiamo come giovani, tecnologici, multitasking, digitali e non sappiamo andare oltre. Ho scelto di parlarne e di partire dai numeri, dai fatti, dalle ricerche di mercato proprio per stimolare la community di marketing ad aprire occhi e orecchie su questa generazione.  I Millennials sono una generazione, non sono semplicemente dei giovani digitali, accomunati da valori e stili unici, differenti da quelli adottati dalla Generazione X o dai Baby Boomers.

I loro valori sono il punto di partenza per definire le strategie di brand.

 

2) Cosa intende con l’acronimo S.T.I.L.E., paradigma legato ai millennials?

Analizzando questa generazione ho compreso che i loro comportamenti derivano da un set di valori di base che ho appunto denominato S.T.I.L.E., acronimo di Socialità, Trasparenza, Immediatezza, Libertà ed Esperienza. Sono i 5 pilastri, che si declinano in ulteriori componenti, utili per comprenderli e per delineare strategie a loro dirette. Ogni loro comportamento, dall’uso del cellulare alla relazione con i brand, può assumere una valenza peculiare. Una marca che ha “stile” sa dialogare con i Millennials, perché si manifesta secondo gli stessi parametri con cui la Generazione Y interpreta e si relaziona con il mondo: oggetti, persone, pubblicità, listino prezzi.

 

3) Come sta cambiando il consumatore in questi anni? Se dovesse fare un semplice confronto tra il prima e il dopo cosa emergerebbe?

Da un certo momento in poi, tutto è cambiato: le dinamiche di consumo e di relazione con i brand, prima e dopo il “Millennial Big Bang”, sono profondamente diverse.

Il problema è che molti dei direttori marketing e comunicazione di oggi appartengono alla Generazione X e fanno un marketing di generazione X, ovvero TV centrico e aspirazionale. I consumatori, e con essi le modalità con cui scelgono e si affezionano ai brand, sono ben più relazionali, connessi, orientati al risultato, alla ricerca di significato rispetto a quanto accadeva un tempo. Non è solo una questione di essere più vicini alla TV o al digitale, si tratta di un cambiamento ben più esteso e significativo, proprio perché attiene ai valori e al modo in cui questa generazione vede il mondo circostante e il ruolo al suo interno. In questo lo “stile” aiuta molto: una campagna di comunicazione che non sia orientata a generare occasioni di socializzazione, che non proponga un qualcosa di vero e reale, che non sia attuale e contestuale, che non apra le porte e le opportunità, che non sia arricchita da esperienza in ogni touchpoint (S.T.I.L.E.), non ha chance di successo su questa generazione. Oltre al “cosa”, dipende quindi dal “come” : occorre costruire un sistema di relazione consumatore brand che rispetti lo “S.T.I.L.E.” e quindi le dinamiche con cui i Millennials si relazionano tra di loro, con la società, con i brand, con i contenuti.

 

4) Ritiene che questo essere costantemente bombardati dall’advertising possa rendere il consumatore un “cattivo” recettore? Che soluzione proporrebbe?

Oggi il ritorno degli investimenti in marketing è molto contenuto: la complessità dei touchpoint che occorre gestire, insieme alla competizione per l’attenzione alla pubblicità, porta il marketing a dover rivedere nel profondo le nuove regole di ingaggio del consumatore. In effetti sì, il consumatore non è facile, non è fedele, non sta attento e in attesa dei nostri messaggi, ma questa è una bella sfida tutto sommato. La soluzione sta nel cambio di paradigma: siamo cresciuti con il modello A.I.D.A. in testa (Awareness, Interest, Desire, Action) secondo cui bastava creare notorietà, riempirla di associazioni di marca e attendere il consumatore al supermercato. La cosa più importante era costruire un alto Top Of Mind ed avere un chiaro posizionamento di marca, così il consumatore si sarebbe diretto come un automa verso l’acquisto. Ora non è più così, in quanto il Top Of Mind è molto volatile, il consumatore non va neanche più a comprare solo al supermercato o comunque, chi va al supermercato è influenzato da altri. Il libro propone un nuovo modello, il frame “Post Millennial Marketing” che risolve questa crisi attraverso una pianificazione più reticolare, forse complessa ma di certo più efficace. Si tratta di un modello che premia l’ascolto, lo stupore delle azioni nei momenti di rilevanza, la cura dell’experience in tutti i touchpoint, per poi convergere nel “Brand Purpose”. Non basta più puntare alla Brand Awareness e neanche alla Brand Image, quando i consumatori ricercano valore concreto e servizio: il Brand Purpose è ciò che tiene uniti tutti i pezzi, che dà significato al ruolo che l’azienda vuole sul mercato.

 

5) Quando è nata la passione per la ricerca e l’analisi che l’hanno portata a diventare CEO Insights di Kantar?

La passione per la ricerca la si ritrova nel momento stesso in cui un ricercatore è bambino: è un’attitudine verso le cose, non un lavoro. Posso dire che ho voluto fortemente una specializzazione in questa professione. Ricordo quando chiesi alla SDA Bocconi di inviare i CV del Master a tutti gli istituti di ricerca: era una cosa a cui la stessa SDA non era abituata, visto che tutti ambivano a fare marketing o a lavorare nelle società di consulenza. Da lì iniziai, ricoprendo ruoli sempre più manageriali, fino a diventare anche imprenditore. Oggi in Kantar vivo un momento straordinario, perchè vedo che le idee di quel ragazzo, dopo la palestra in start up di successo in ambito digital e social media research, mi hanno portato lontano. E c’è ancora molto da fare.