L’orientamento di un cliente verso un prodotto/servizio piuttosto che un altro non è condizionato esclusivamente dalle caratteristiche di base o dal prezzo ma è determinato anche dalla qualità della customer experience, attraverso tecniche di Storytelling, Content Marketing e Gamification.

Questa attività di coinvolgimento è svolta principalmente sui canali digitali, specialmente nella fase di progettazione che necessita dell’ausilio di tutti i social e delle piattaforme per garantire al cliente un’esperienza del prodotto a 360 gradi.

Abbiamo approfondito l’argomento con l’esperto Alberto Maestri, autore del libro “Customer Experience Design. Progettare esperienze di marca memorabili sui media digitali”.

 

  • Partiamo dal titolo del tuo libro “Customer Experience Design”, che significato assume, nel digital marketing, l’esperienza del cliente?

Oggi, per un brand, la customer experience (CX) è tutto.

Viviamo in un contesto dove da un lato, le persone si sono accorte che gli attributi di prodotto e servizio offerti da aziende concorrenti sono sostanzialmente molto simili, in un certo senso, dunque, non si fanno più “fregare”; dall’altro, l’economia dei like ha generato un nuovo scenario competitivo, dove la soddisfazione dell’utente viene messa in circolo attraverso social reaction, recensioni, ranking, stelline. Infine, i colossi digitali come Facebook e Amazon hanno abituato i propri utenti a specifiche esperienze digitali, che gli stessi utenti traslano poi sugli altri artefatti digitali che utilizzano nella propria quotidianità. A proposito di questo, si parla da qualche anno di aspettative liquide. L’app di Ferrovie dello Stato deve dunque proporre gli stessi standard qualitativi, in termini di esperienza offerta, rispetto a Facebook, mentre MyTaxi rincorre Uber per le stesse motivazioni.

Oggi, quindi, non ci si può più permettere di fare vivere una CX grigia.

La questione non risiede più nel “se” ma nel “come”: in che modo riuscire a progettare una customer experience rilevante, capace di lasciare il segno?

I media digitali diventano un ecosistema fertile in questo senso, grazie alle specificità – interattività, contestualizzazione, etc. – che li caratterizzano.

 

  • Molte aziende, specialmente negli ultimi anni, cercano di avere una maggiore interazione con i propri clienti attraverso sito, blog, social, app, etc. Come mai c’è stata questa svolta strategica verso l’interazione a discapito della promozione continua dei propri prodotti?

Le ragioni risiedono nella prima delle tre variabili che ho citato sopra: i prodotti si assomigliano tutti da un punto di vista prettamente funzionale. La sfida deve spostarsi verso dimensioni diverse, come quella – appunto – dell’esperienza offerta. Già da anni si è teorizzato e mostrato nella pratica il passaggio delle aziende da entità produttrici di beni e/o erogatrici di servizi a vere e proprie Experience Stager.

Gli esempi citati delle nuove modalità di interazione sono in realtà legati a un livello tattico/operativo, per cui la CX viene “calata” a terra attraverso il giusto mix di canali e contenuti. Come ho dimostrato insieme a Joseph Sassoon nel nostro ultimo libro “Customer Experience Design” entrano in gioco Storytelling, Content Marketing, Gamification.

 

  • Ci illustri il modello SAVE?

Il metodo è stato proposto in un articolo sul numero di gennaio-febbraio 2013 di Harvard Business Review “Rethinking the Four P’s“, a opera di Richard Ettenson, Eduardo Conrado, Jonathan Knowles. Tale teoria è stato elaborata come evoluzione applicata ai settori B2B del celebre modello delle 4 P – Product, Place, Price e Promotion – che, a partire dalla sua ideazione da parte di Edmund Jerome McCarthy nel 1960, ha avuto larga applicazione nel marketing di innumerevoli imprese.

Nella visione degli autori, il modello delle 4 P ha servito i marketer molto bene per oltre cinquant’anni ma oggi la sua stretta focalizzazione sul prodotto non è più in sintonia coi tempi e anche le altre tre P necessitano di essere reinterpretate. La soluzione suggerita è denominata SAVE, acronimo dei termini, SOLUTION, ACCESS, VALUE e EDUCATION, che sottendono l’adozione di un diverso business model. Il senso del modello può essere chiarito in questo modo:

  • Focus su Solution anziché su Product. I consumatori odierni stanno spostando la loro attenzione dai prodotti alla soluzione dei loro problemi. Di conseguenza, molte imprese stanno passando dall’essere product-oriented all’ essere solution-oriented.
  • Focus su Access anziché su Place. La proprietà degli oggetti sta diventando meno importante dell’avere accesso alle soluzioni, nel momento in cui servono, a prescindere dal luogo fisico in cui si trova. Molte organizzazioni, infatti, si stanno specializzando nel dare accesso a soluzioni su Internet, disponibili a prescindere del posto in cui ci si trova.
  • Focus su Value anziché su Price. Il prezzo è sempre importante ma i consumatori di oggi danno molta più attenzione al valore intrinseco delle cose, quindi, le imprese devono curare molto di più la loro value proposition.
  • Focus su Education anziché che su Promotion. Le resistenze dei consumatori verso ogni forma di pubblicità e promozione invasiva stanno aumentando notevolmente. Le imprese consapevoli di questo devono impegnarsi ad informare ed educare il pubblico solo su temi di suo reale interesse.

Il modello è congruo con lo spostamento dell’accento dai prodotti alle esperienze determinato dall’avvento dell’experience economy e dai fenomeni trasversali di trasformazione digitale. Il significato del termine SAVE (“salvare” in inglese) allude anche a questo: adottare questa prospettiva, oggi, è indispensabile, per salvare la propria impresa dai rischi insiti nel rimanere ancorati a modelli di business obsoleti – e per salvarsi tout court.

 

  • Uno degli strumenti utilizzati per fidelizzare la clientela e generare interazioni è la gamification. Quando è opportuno inserirla nella strategia di un’azienda e quali devono essere i presupposti, se presenti, per la sua efficacia?

All’interno di “Giochi da Prendere sul Serio”, uno dei primi libri in Italia dedicato al tema della gamification di cui ho curato un capitolo sulla psicologia della gamification, ho precisato che la Gamification non è la soluzione a tutti i problemi e a tutte le sfide organizzative. Prima di procedere alla fase di progettazione dell’esperienza gamificata, occorre porsi sempre una domanda preliminare: è sensato applicare la Gamification alla specifica sfida, problematica o criticità che vi vede coinvolti? A proposito, all’interno di “For the Win” gli esperti Kevin Werbach e Dan Hunter hanno definito, nel 2012, un framework interessante e utile denominato Basic Gamification Checklist. Basato su alcuni elementi della psicologia umana come la motivazione, l’interesse e il comportamento delle persone, questo prende in considerazione 4 macro-dimensioni – motivazione, scelte rilevanti, struttura, conflitti potenziali – e pone altrettante domande indispensabili per guidare il Game Designer nelle proprie attività.

  1. Motivazione: quali sono i driver utili a stimolare gli individui a partecipare alla Gamification? Esistono 3 principali cluster di attività per cui la motivazione dei partecipanti diventa fondamentale: lavoro creativo, task semplici e cambiamenti comportamentali. In primis, gli esercizi più creativi rappresentano un elevato valore aggiunto per l’azienda e per il vantaggio competitivo organizzativo. Essi dipendono fortemente dalla leva motivazionale dei singoli e la Gamification può diventare strategica per personalizzare l’esperienza vissuta. In secondo luogo, i task semplici e banali richiedono l’aderenza a procedure e routine pre-definite: se progettata in modo adeguato, la Gamification è la chiave per arricchire di senso tali attività. Infine, a volte le persone comprendono l’importanza di qualcosa, senza però trovare tempi e modi per metterla in pratica, la sfida diventa quella di incrementare la frequenza di tali comportamenti virtuosi.
  2. Scelte rilevanti: le attività da svolgere nel sistema di Gamification sono sufficientemente interessanti? È importante che l’esperienza permetta alle persone in gioco di avere il giusto livello di libertà di azione, evitando qualunque percorso “pre-confezionato”.
  3. Struttura: i comportamenti desiderati possono essere facilitati e stimolati attraverso regole progettuali ed algoritmi ad hoc? Definire un adeguato cruscotto di analytics permette un migliore monitoraggio e una misurazione più approfondita delle dinamiche interne al progetto di Gamification. I dati rilevati verranno utilizzati per tarare meglio il sistema sugli utenti e sulle loro necessità, ottimizzando nel tempo il funzionamento.
  4. Conflitti potenziali: se implementato, il progetto di Gamification entrerebbe in conflitto con strutture motivazionali pre-esistenti? Come spiegherò in modo più esteso e approfondito nelle prossime pagine, prima di iniziare il disegno della Gamification è importante analizzare il sistema motivazionale già esistente, per non creare conflittualità inutili o addirittura dannose. Al contrario, le nuove leve premianti dovranno essere implementate in modo congruente e allineato rispetto ai rewarding in essere.

Le dimensioni elencate vanno pensate come a veri e propri sotto-obiettivi progettuali da centrare e raggiungere, per sviluppare una Gamification di successo. Le opzioni ideali per la Gamification sono processi che dipendono dalla motivazione, offrono sfide interessanti facilmente codificabili in regole e rinforzano i sistemi di ricompensa esistenti. Prima delle attività di implementazione del progetto di Gamification, dunque, occorre cercare di risolvere in modo positivo e virtuoso le criticità poste da ciascuna dimensione, in linea con gli obiettivi organizzativi.

 

  • Quale azienda, ad oggi, fa della customer experience il suo vantaggio competitivo? Perché?

I manuali citano sempre Starbucks come esempio virtuoso di Customer Experience, a mio avviso, si tratta di un esempio ormai datato, più tarato sul marketing di servizio che sulla CX. Oggi nuove realtà stanno facendo passi da gigante: penso ad Amazon Go appena aperto a San Francisco.

Interessante il fatto che le buone pratiche riguardino quasi sempre business “nativi digitali”, in effetti, il dato e la sua corretta gestione, l‘applicazione dei principi del platform thinking e la cultura dell’esponenzialità rendono questi player i terreni più fertili in cui sviluppare e mantenere customer experience rilevanti.

 

Nel mercato digitale, le esigenze degli utenti sono sempre più difficili da soddisfare. Prendiamo ad esempio le app di servizi: per garantire un’eccellente customer experience, non basta che siano funzionali e prive di bug, ma devono essere modellate sempre di più sulle preferenze e sugli interessi degli utenti. Le aziende che sottovalutano la cura della customer experience nella propria strategia potrebbero subire un calo nei loro profitti a lungo termine. Secondo alcuni studi recenti, infatti, una CX negativa allontana i clienti dai prodotti dell’azienda in questione: il 18% non acquisterà più alcun prodotto e il 21% ne acquisterà sempre meno.