Le aziende di ogni settore stanno vivendo una radicale trasformazione digitale, per reagire al cambiamento che sta rivoluzionando la nostra società. La corsa al digitale è molto più complessa di quanto non sembri: le risorse, gli strumenti e i servizi non bastano, bisogna innovare il modo di pensare e gestire la propria impresa. Abbiamo chiesto un parere a Chiara Mauri, professore di marketing presso l’Università della Valle d’Aosta e presso la SDA Bocconi School of Management e autrice del libro: Marketing per le PMI. Strategie e casi.

 

1) Secondo lei, negli ultimi anni, le PMI hanno modificato il loro modo di approcciarsi al web o continuano a fare errori?

Sicuramente le PMI hanno migliorato moltissimo la loro presenza sul web e hanno capito che si tratta di un’ enorme opportunità, perché rappresenta una modalità molto più economica rispetto ai canali tradizionali. Di conseguenza,  lo usano con intelligenza, riempiendolo di contenuti, anche attraverso l’uso di figure esperte. Altra strategia vincente è quella di integrare i canali online con quelli offline, quando questo è possibile economicamente parlando, altrimenti gli strumenti ATL continueranno a subire un calo dei “numeri”.

2) Grazie ad un intervento del MISE, le PMI che desiderano effettuare un upgrade tecnologico e digitale, possono usufruire di voucher in grado di rimborsare il 50% della loro spesa totale. Secondo lei, le PMI saranno in grado di sfruttare al meglio questa opportunità e di cosa necessitano per intraprendere una strategia di digitalizzazione ottimale?

Secondo la mia esperienza, gran parte delle PMI usa dei consulenti. Ma perché li usa? Principalmente per 2 ragioni: 1) Il consulente ha un know how avanzato su certi temi, quindi è necessario per continuare ad aggiornare competenze generali e tecniche, che spesso il manager o l’imprenditore non ha il tempo di curare. A volte, le PMI hanno bisogno di un know how avanzatissimo se vogliono affrontare la concorrenza con le aziende più grandi. Paradossalmente, infatti, sono più sofisticate le attività della piccola impresa rispetto a quelle della grande impresa. 2) Il consulente ha un costo variabile, quindi non essendoci sempre un ufficio marketing nel mondo delle PMI o un responsabile (perché spesso il marketing viene gestito da tutti e da nessuno) c’è bisogno di un soggetto specializzato.

3) Nel suo libro ha parlato di segmentazione della clientela attraverso la tecnica RFM, può spiegarcela in sintesi? E’ possibile applicarla sempre o, per una migliore riuscita, l’impresa deve tenere conto di determinati fattori? E’ possibile applicarla anche alla micro impresa?

La tecnica RFM (Recency frequency monetary value) è un criterio piuttosto vecchio ma poco utilizzato, che serve per segmentare i clienti sulla base del loro comportamento effettivo: non chi sono, ma cosa fanno! Quindi è una base di segmentazione multidimensionale, in cui si prende un gruppo di clienti e si attribuisce a ciascun cliente un punteggio in base a quanto compra in un certo periodo (Monetary Value), quanto recentemente ha comprato (più recente è l’acquisto e maggiore è il punteggio) e quanto frequentemente acquista. Ad esempio, se un cliente ha acquistato spendendo 1000 euro, 5 anni fa, una volta sola, avrà un punteggio inferiore rispetto ad uno che acquista 5 volte, spendendo 200 euro. Si tratta di un criterio molto utile applicabile anche alle microimprese e non necessita di parametri predeterminati.

4) Go to market, come mai rappresenta un elemento importante per gli investitori? L’applicazione di questa strategia prevede un definito punto di partenza prodotto centrico o consumer centrico?

La creazione di una strategia Go to Market deve basarsi su un’attenta analisi di entrambi i soggetti Consumatore e Produttore ma il focus maggiore lo deve avere sempre e comunque il consumatore. Una startup ha un prodotto, il consumatore ha un bisogno che deve essere soddisfatto.

5) Cosa intende per PMI eccellenti e questa definizione dipende soltanto dal fatturato?

Le PMI eccellenti sono quelle che realizzano una parte elevata di fatturato (50-80%) grazie al mercato estero. Questa definizione non dipende esclusivamente dal fatturato: ci sono altri dati che permettono di definire la PMI eccellente. L’estero è arrivato dopo, non è uno dei punti di partenza; la percentuale di fatturato generato all’estero aumenta nelle imprese eccellenti ma il primo fattore di successo è la qualità senza compromessi cioè avere prodotti di qualità dichiarata e costante (non interessa se bassa media o alta).

Mantenere la qualità nel tempo è una grandissima sfida per le imprese così come utilizzare strategie di marketing all’avanguardia, per essere veramente eccellente.

6) La Cina, da sempre, attua politiche protezionistiche che rappresentano dei limiti per le imprese che desiderino sviluppare un business in quel paese. A tal proposito, come potrebbe una PMI affrontare al meglio questo ambiente e quali possono essere gli step da seguire per avere reali possibilità di successo?

Le imprese che conosco, in gran parte dei casi, non si sono mosse da sole e hanno sviluppato delle relazioni con delle società specializzate in supporto all’insediamento nei mercati esteri, che non di rado hanno poi chiamato in causa un partner cinese. Ad esempio, la Cassa Depositi e Prestiti ha al suo interno la SACE e la SIMEST che fanno proprio il lavoro di supporto per le imprese, con l’obiettivo di aiutarle ad insediarsi nei mercati esteri (non UE) in particolare India e Cina, attraverso dei supporti finanziari e delle Equity che riuniscono gli stakeholders per avviare l’azienda. È  consigliabile affrontare il mercato cinese con dei partner locali; successivamente, magari,  c’è la possibilità di diventare indipendenti ma all’inizio nessuno va da solo.

 

Grazie al piano industria 4.0, nell’anno 2017 si sono registrati dati incoraggianti sulla situazione delle PMI italiane, in materia di digitale: sono cresciuti del 9% gli investimenti nell’Industria 4.0 italiana con ripercussioni positive su tutti i settori. Sotto le aspettative, invece, il grado di preparazione della forza lavoro, infatti, solo il 29% del personale possiede competenze digitali elevate, percentuale che ci posiziona indietro rispetto a Regno Unito, Spagna, Francia e Germania.

Ecco perché, in questo momento, è fondamentale affidarsi a professionisti del mondo digital, per guidare la rivoluzione dell’imprenditoria italiana.