Il ciclo di interviste sul rapporto tra i social media e la pubblica amministrazione si conclude con l’intervento di Ernesto Belisario, avvocato esperto di media digitali. Con lui abbiamo esplorato il modo corretto di intendere la tecnologia, che deve essere vista come un nuovo modo di concepire l’attività amministrativa.

  1. Un avvocato esperto di media digitali e nuove tecnologie. Chi è Ernesto Belisario? 

Sono un avvocato che ha fatto delle sue due passioni una professione. Mi dilettavo con l’informatica fin da quando ero studente universitario, e ho provato ad occuparmi professionalmente dei profili giuridici delle tecnologie.

Dopo 15 anni è quello che continuo a fare, e provo a stare dietro a quelle che sono le novità tecnologiche cercando di capire le ripercussioni che possono avere sul diritto, in modo tale che il diritto perda un po’ quella connotazione negativa che ha assunto, di freno all’innovazione. Il diritto può essere un fattore abilitante dell’innovazione, a patto che vi siano dei giuristi illuminati e delle leggi scritte bene.

2. Lei nel 2009 ha pubblicato il libro “la nuova pubblica amministrazione digitale”, che è una guida per le PA impegnate nei processi di digitalizzazione, alla luce delle modifiche apportate dalla legge 69 del 2009. A distanza di 6 anni, cosa è cambiato in materia di informatizzazione nei pubblici uffici?

È cambiato tanto, sto infatti scrivendo un nuovo testo perché il contesto sembra maturo e il legislatore ha adottato molte norme. Mi sembra poi che il progresso tecnologico abbia fatto il resto.

La pubblica amministrazione non è ancora totalmente digitale, ma dei passi in avanti sono stati fatti, e soprattutto la riforma del codice dell’amministrazione digitale, che tra qualche settimana sarà pubblicata, darà degli obiettivi ancora più sfidanti alle amministrazioni. Quello che nel 2009 era un auspicio adesso è una certezza. Purtroppo manca ancora uno scatto culturale delle amministrazioni; la comprensione che è necessario un nuovo modo di concepire l’attività amministrativa, che dovrà abbandonare i vecchi schemi e i vecchi procedimenti se si vuole che l’amministrazione digitale significhi riduzione dei costi, efficienza e servizi di qualità a cittadini e imprese.

3. Uno dei nodi da sciogliere è la comprensione e l’abbandono da parte delle pubbliche amministrazioni dei vecchi schemi interpretativi.

Si, è la velocità con cui le PA riescono a declinare questo paradigma. Il legislatore impone degli obblighi, ma le amministrazioni devono capire che le tecnologie non sono un vincolo ma un’opportunità. Sarebbe opportuno anche che i cittadini facessero da pungolo, pretendendo l’erogazione di servizi online di qualità. Nei prossimi mesi si spera che il governo istituisca il difensore civico digitale, cui rivolgersi gratuitamente e senza oneri.

Io credo che se i cittadini vigilassero il livello di digitalizzazione delle amministrazioni tutta l’innovazione del settore pubblico sarebbe più veloce.

4. I social media in qualche modo funzionano da punto di contatto tra la pubblica amministrazione e i cittadini, permettendo a questi ultimi di ricevere un feedback sull’operato. Ci racconta il suo punto di vista?

La bellezza dei social media è che non sono un obbligo, e le PA è corretto che li utilizzino a patto che capiscano cosa significa fare comunicazione istituzionale sui social e avere un’interazione con gli utenti attraverso l’utilizzo di queste piattaforme, perché è diverso rispetto ad una comunicazione monodirezionale intenta solo lanciare comunicati stampa del sindaco o del ministro, è una nuova forma di ascolto e dialogo con gli utenti.

Esistono delle PA che ci stanno provando ed esistono anche dei casi in cui i tweet finiscono ad esempio nelle aule di giustizia. Un esempio su tutti il tweet del ministro Bray, che è stato ritenuto una violazione di un atto amministrativo. Questo significa che stiamo parlando di uno strumento di forte impatto, anche sulla fiducia che i cittadini hanno nei confronti delle istituzioni. Ovviamente, quello che manca nelle PA – soprattutto dal mio punto di vista – è l’adozione di adeguate policy.

I social media in qualsiasi organizzazione possono funzionare solo in presenza di un’adeguata strategia e di precisi documenti di policy, tanto nella parte esterna – che si esplica nella possibilità di dire agli utenti quali contenuti saranno tollerati e come funzioneranno ban e moderazioni – quanto interna, quest’ultima molto poco diffusa. Spesso non esiste un documento in cui vengono disciplinate da un lato le modalità di utilizzo dei canali da parte della struttura, quindi da chi si occupa di quei canali, quanto le modalità di utilizzo da parte dei dipendenti e collaboratori. Si tratta di quel terreno di scontro tra la libertà di manifestazione del pensiero e gli obblighi di fedeltà e concorrenza del lavoratore che ha provocato molti problemi. Qualche settimana fa la dipendente di una mensa comunale è stata licenziata perché sul proprio profilo personale aveva ripreso le lamentele di alcuni genitori.

Se le amministrazioni comprendessero che tutto passa per un’adeguata regolamentazione, attraverso il documento di policy, ad un utilizzo consapevole di questi strumenti, i problemi con il personale potrebbero essere evitati.

5. Recentemente la giornalista Selvaggia Lucarelli ha messo in risalto una pratica scorretta di utilizzo dei canali social da parte di un dipendente della pubblica amministrazione del comune di Potenza. Secondo lei, si potrebbe stilare un vademecum di utilizzo corretto dei social media da parte dei pubblici uffici? 

Quello è stato un inconveniente, dovuto all’associare all’account twitter sbagliato un’app che era un gioco, non c’era quindi malizia. Esistono numerosi casi di dipendenti che dimenticano di passare dall’account aziendale a quello personale, bisogna quindi prendere le giuste precauzioni, sapendo ad esempio che sul dispositivo che utilizzi per l’ente non puoi avere dei giochini. La professionalità dell’uso è legata quindi all’importanza di avere delle procedure, che sono quello che ci aiuta ad evitare quelli che sono definiti degli epic fail.

Non so se l’account twitter possa determinare un miglioramento dei servizi offerti all’utenza, sicuramente può contribuire – se non correttamente presidiato – a far fare brutta figura al comune.