Mercoledi scorso Facebook ha rilasciato in tutto il mondo il tasto “Reactions”. Tenendo premuto il tasto like si attivano una serie di emoji, che ci consentono di manifestare il nostro stato d’animo, in una scala che va dal divertito al furioso.
Roma – E’ una novità importante quella introdotta da facebook, che permette agli utenti di manifestare una gamma più articolata di emozioni, a colpi di click.
Il popolo della rete come sempre si è diviso di fronte alla nuova funzione, e molti hanno espresso in modo fantasioso il loro disappunto.
Perché facebook ha fatto questo?
Capita spesso di imbatterci in un contenuto ambiguo,verso il quale non riusciamo ad esprimere la nostra reazione premendo semplicemente il tasto like. Si potrebbe commentare, mi direte, ma spesso è difficile esprimere – o non si ha voglia di scrivere – qualcosa. Il tasto reaction semplifica l’azione di manifestare il proprio coinvolgimento nei confronti di un post.
C’è anche un altro motivo che spiega la scelta, ed è illustrato da Marco Montemagno in questo video:
Facebook attraverso le reactions raccoglie più dati sugli utenti, e in questo modo può ottimizzare il feed delle notizie, riempiendolo con contenuti basati sui nostri interessi specifici.
Questa pratica ha un rovescio della medaglia, che consiste nella grande mole di dati sulle nostre abitudini che facebook riesce ad ottenere, che gli permettono di vendere agli inserzionisti pubblicitari un pubblico profilato nel minimo dettaglio. Questo perché lo strumento rende misurabili per la prima volta le connessioni emozionali tra gli utenti e i brand.
Il nostro consiglio è: prima di compiere qualsiasi azione – su qualsiasi piattaforma – contare fino a dieci, e interrogarsi sulle conseguenze che quella azione può avere. Ricordiamoci che su internet tutto è pubblico, tracciabile e memorizzabile, quindi attenzione a quello che si fa, perché mettiamo in gioco la nostra reputazione.
Nel prossimo appuntamento con il glossario parleremo della gran quantità di informazioni che ogni giorno immettiamo in rete, e che consentono alle piattaforme di tracciare un profilo più o meno dettagliato di noi stessi. I famosi big data.
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