L’attività di branding è un tassello fondamentale nella strategia di marketing di ogni azienda, creare una brand identity solida è il primo passo per avviare un business di successo distinguendosi dalla concorrenza. Inoltre, valorizzare l’identità del proprio marchio e rinnovarlo al momento giusto favorisce un alto posizionamento nelle preferenze dei clienti.

Abbiamo approfondito questo tema con Elio Carmi, amministratore e direttore creativo della Carmi e Ubertis e autore del libro: Branding D.O. Progettare la marca. Una visione design oriented.

 

1) Ci descriva brevemente il modello Carmi e Ubertis.

In breve? Unire il buon senso con ciò che oggi viene definito Design Thinking. Noi, in Carmi e Ubertis, abbiamo un nostro modello di marca proprietario, sviluppato negli anni e documentato ampiamente nel libro Branding Design Oriented, pubblicato più volte dal 2009. Un modello che adottiamo di prassi nei processi di design, che si poggia su due pilastri. Il primo è la Design Strategy e il secondo è tutto ciò che serve a definire una corretta Brand Governace. Tutto ciò va associato ad un processo di analisi e sintesi che di volta in volta è da modulare su ogni singola diversa necessità.

 

2) Cosa pensa dei pop-up store? Che ruolo assumerà lo space design nella loro progettazione?

Sarà uno dei modi in cui il dialogo, necessariamente aperto e bidirezionale, si attiverà con il consumatore. Un consumatore sempre più infedele, va avvicinato dimostrando eticamente, immaterialmente e materialmente, che dietro una specifica Brand ci sono valori veri, e non superfici effimere. Per questo, per esistere, le marche dovranno manifestarsi non solo virtualmente, ma materialmente. I temporary shop, i Pop-up store, l’engagement esperienziale saranno luoghi fisici idonei a queste funzioni, perchè le marche sono sempre più di proprietà delle Persone. Ogni Brand esiste per le persone, vive con le persone, si attiva nelle persone. E proprio la fisicità delle persone dovrà in qualche modo essere soddisfatta, in modo tangibile e non solo virtuale.

 

3) Quando è il momento adatto per rinnovare il proprio brand? E in che modo bisogna farlo?

Ogni marca se è viva è per sua stessa natura in movimento.

Le Brand si rinnovano in continuo, semmai c’è da chiedersi quando è il momento di rivedere le normative, le modalità linguistiche, le regole che servono per la Band Governance. Visto che non c’è una regola assoluta, ciò che è comunque chiaro è che chi sta fermo, non ascolta e non è in grado di essere resiliente, rischia molto!

 

4) Cosa intende per Design Oriented? All’interno di quali contesti è necessario utilizzare questa visione?

Branding Design Oriented è il nostro modo di costruire i progetti di comunicazione di marca. Si può attivare, come modello, sia per aggiornare una marca che per costruire una nuova brand. Per ciò che mi riguarda è sempre da utilizzare se c’è un concept strategico da costruire o da aggiornare. Ovviamente, il design che noi pratichiamo, non ha nulla a che vedere con il bello o il brutto. Per noi il design è un modo di pensare, progettualmente e concettualmente, con un focus su ogni attività di comunicazione, e, di conseguenza, su ogni momento di contatto con le persone. L’estetica è funzionale agli obiettivi di comunicazione, ai valori da evidenziare, alla relazione che ogni oggetto attiva nel momento in cui si rende percepibile, è una delle funzioni del design, che è prima di tutto pensiero.

 

5) I tempi cambiano come anche i gusti della clientela, rinnovarsi costantemente può rappresentare un rischio per la brand identity. Si può affrontare il cambiamento senza modificare o annullare il messaggio alla base del proprio brand? Ci faccia un esempio.

Per fortuna esistono i Maestri e un maestro di cultura europea ma di pratica (anzi pragmatica) americana, diceva che ogni suo progetto deve essere MAYA.

Most Advanced Yet Acceptable. Si chiamava Raymond Loewy. Se noi associamo questo semplice insegnamento di grande buon senso, con la velocità con cui cambiano le dinamiche economiche e sociali, ci rendiamo conto che ciò che va fatto è praticare il cambiamento, con il più grande rispetto dei propri valori originali. Purtroppo, questi valori, soventemente, vengono abbandonati per monetizzare velocemente, non si fanno investimenti in ricerca, non si verificano i percepiti, in sostanza non si ascoltano gli utenti, i clienti, le Persone. Ma se c’è consapevolezza di ciò che la Brand promette e se si mantengono le promesse, ogni cambiamento porta beneficio, contemporaneità, innovazione. Ora non dico nulla di nuovo se indico come buona pratica quella della Coca-cola ma se lei mi chiede un valido esempio questo ci stà. Come diceva G.P.Fabris, chi comprerebbe una bibita gassata, zuccherata, vecchia, non salutistica, che ha più di 100 anni? Bene, Coca-cola ha sempre aggiornato la propria identità e il suo modello di Communication Design, coerentemente con il suo posizionamento di Family Brand: non ha cambiato identità ma la ha sempre aggiornata, non ha cambiato posizionamento, nonostante parli linguaggi diversi e si rivolga a pubblici diversi, non ha cambiato prodotto, anche se ha cercato sempre di capire cosa chiedevano le persone e quali nuovi bisogni e desideri avrebbero avuto spazio nell’anima dei consumatori.

 

Il brand, dunque, è molto più di un logo o una grafica: esprime l’identità, i valori, la vision della nostra attività e comunica a chi lo vede chi siamo, come lavoriamo e il nostro stile. Non è semplice valorizzare il brand e renderlo lo specchio della nostra azienda, considerando anche la disomogeneità dei consumatori che possono interpretarlo in maniera differente.