Mercoledì 6 e giovedì 7 dicembre, si è svolto il più importante appuntamento annuale sugli affari europei e non solo, organizzata da Eunews. Durante la seconda giornata di dibattito, si è svolto il panel: “I dati come driver di produttività e innovazione”, un momento di discussione dedicato ad un tema di massima attualità: il futuro dell’economia e dell’industria.

Marco Zatterin, Vice Direttore de La Stampa, ha moderato il dibattito al quale hanno partecipato esponenti politici come Mattia Fantinati della X Commissione della Camera dei Deputati e Paolo Ghezzi, direttore generale di Info Camere ed esponenti del mondo dell’imprenditoria italiana come Alfonso Fuggetta, CEO e direttore scientifico di CEFRIEL, centro di eccellenza per l’innovazione, la ricerca e la formazione nel settore dell’Information & Communication Technology e  Paolo Pandozy, amministratore delegato di Engineering, una delle più importanti aziende italiane nel settore dell’informatica e del digital.

La centralità del dato è un elemento innegabile nella nostra quotidianità, non soltanto in ambito industriale ma anche individuale, basti pensare alle dinamiche dei social network: la circolazione dei dati è il patrimonio della nostra epoca. Questo il tema su cui Mattia Fantinati ha aperto la discussione, sottolineando come, a fronte di una società sempre più data driven, in Italia, ci sia una lacuna immensa da colmare a livello burocratico amministrativo: bisogna creare un’amministrazione 4.0, in grado di sostenere questo nuovo modello economico e sociale. In un futuro più che prossimo, ogni aspetta della nostra vita sarà rivoluzionato dalla tecnologia, dobbiamo tenere il passo e intraprendere un percorso di innovazione, regolamentato da apposite politiche di investimento.

Alfonso Fuggetta ha portato l’attenzione su un aspetto molto delicato della rivoluzione 4.0 in Italia: la consapevolezza del cambiamento e dei nuovi mezzi e la creazione di una cultura dell’innovazione. Quanto dobbiamo fidarci e quanto diffidare dei nuovi mezzi a nostra disposizione? Come gestire le sfide e le opportunità di questa rivoluzione tecnologica?

Fuggetta ha ricordato che uno dei grandi limiti della mentalità italiana è che in questo paese viviamo spesso la tecnologia come un’entità negativa e una fonte di pericolo, ovviamente c’è un margine di rischio ma non si può negare che l’innovazione tecnologica comporta dei vantaggi talmente grandi che dobbiamo convincerci che vale la pena rischiare.

Perché allora ci ostiniamo a opporre resistenza: vogliamo subire passivamente la rivoluzione 4.0 o dominare questa nuova opportunità e sfruttarla per crescere ancora?

L’osservazione di Fuggetta è della massima importanza, dobbiamo partire la rivoluzione deve partire dalla cultura, da un cambio radicale di mentalità e dalla consapevolezza degli strumenti, una rivoluzione che deve iniziare sin dall’educazione scolastica.

Anche Paolo Ghezzi ha sottolineato il problema della cultura dell’innovazione e soprattutto della formazione della manodopera 4.0 in Italia, mostrando come anche da un punto di vista lavorativo, l’Italia sia tra i paesi più carenti di neolaureati preparati. Tuttavia, il gap culturale non è un’esclusiva degli studenti, uno dei dati più interessanti riportati da Ghezzi è quello secondo il quale ben 4 imprenditori su 10 dichiarano di non aver bisogno di internet per svolgere il proprio lavoro, solo 1 PMI italiana su 3 è attiva sul web e solo 1 su 5 utilizza i social media. Secondo i dati, forniti dallo stesso Ghezzi, l’Italia è al 25° posto della classifica UE sulla Digital economy nel 2017, un ritardo evidente rispetto al panorama internazionale circostante. Attualmente, le startup e le PMI nel settore innovazione esistenti sono pari a 8.800 e solo nei primi mesi del 2017 c’è stato un incremento di 1.100 aziende, in confronto l’imprenditoria giovanile viaggia molto più rapidamente: le imprese giovanili in ambito digitale nel nostro paese sono circa 15.000 e nei primi 9 mesi del 2017 si è registrato un aumento di 2.200 aziende. Il punto di forza dell’imprenditoria giovanile è la sua composizione interna: fondatori e dipendenti nativi digitali. La loro attività a presenza sul web raggiunge percentuali altissime e supera di gran lunga quelle delle altre aziende italiane, per questo l’Italia dovrebbe puntare sui giovani e intervenire sulla formazione.

Paolo Pandozy, infatti, ha spiegato come il rifiuto dell’innovazione sia stato già in passato il maggiore freno dell’economia italiana, che ha portato alla delocalizzazione esterna delle industrie e alla fuga dei cervelli, per questo oggi, bisogna prendere consapevolezza di questo momento storico e sfruttare al meglio il cambiamento.

Il panel sui big data si è rivelato un’occasione di dibattito necessaria e costruttiva, un momento per riflettere sulla situazione economica dell’Italia nel panorama mondiale, sulle nostre lacune e sui passi avanti e, soprattutto sul futuro: i giovani.