Nell’era moderna assistiamo ad un ritorno alla narrazione per immagini, merito soprattutto delle piattaforme social e dell’accumulo di stimoli che abbiamo quotidianamente davanti a noi.

Le immagini possono condizionare in maniera profonda il nostro stato d’animo, in un’esperienza immersiva e totalizzante, ma non tutte sono capaci di raccontare una storia.

Il linguaggio visivo ha delle precise regole grammaticali, e Massimo Lico – Visual storytelling specialist – le ha approfondite  insieme a noi.

1) Un visual storytelling specialist. Chi è Massimo Lico?

Domanda che mi mette un pò in imbarazzo, non amo molto raccontarmi preferisco farlo con le immagini e i testi, e lasciare che siano gli altri a capirlo e a dirlo. Comunque posso dire che sono una persona votata alla comunicazione, da sempre, e che ho scelto, dopo anni dedicati all’ingegneria, di usare strumenti che da tempo erano li che mi chiedevano di essere usati, le emozioni e le fotografia, semplicemente ho dato ascolto a quelle vocine.

2) La tua visione e il tuo approccio al Visual storytelling.

Siamo in fronte ad una materia per la quale non è possibile dare una definizione inconfutabile e universale.

Esistono tuttavia diverse interpretazioni della locuzione visual storytelling, ma credo sia opportuno fare ordine in questo ambito, innanzitutto riflettendo sul significato della stessa. Possiamo affermare che significhi: narrare attraverso racconti (visuali – nel caso specifico). Questo vuol dire, ad esempio, che se l’oggetto della narrazione è la storia (il più diffuso ma non il solo), non è tanto la storia in sè a fare lo storytelling, ma il modo in cui la stessa viene narrata. In altre parole direi che il visual storytelling è un linguaggio visivo, con regole grammaticali ben precise, ma è anche e soprattutto una forma di comunicazione nella quale possiamo riconoscere diversi livelli di espressività, alcuni molto forti ed impattanti.

L’ambiente nel quale viene coinvolto il pubblico e noi che facciamo visual storytelling con esso, coinvolge i cinque sensi, in un mix che ha come parola chiave la parola emozione.

Il mio approccio si basa sul rispetto di questi principi, parto dall’analisi e conoscenza del pubblico, definisco il nucleo della storia e lo sviluppo sulla base dello schema narrativo canonico, e ultimo ma non meno importante, scelgo attentamente il medium sul quale veicolare la narrazione, perché questo non è trasparente al pubblico, anzi interagisce profondamente con esso a livello percettivo.

Non posso però non riconoscere che sempre, esclusivamente, mi lascio attraversare dalle sensazioni e dalle emozioni, ogni racconto deve anche essere come un atto poietico; se non provo qualcosa nel mio plesso, preferisco il silenzio, arriverà il momento in cui le emozioni mi chiederanno di essere raccontate.

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3) Quali sono le caratteristiche essenziali di una strategia di visual storytelling.

Fermo restando l’approccio che ho descritto sopra, sia in chiave di processo produttivo che in chiave emozionale, penso che la cosa più importante sia quella di garantire al pubblico un’esperienza totalizzante, appagante, fatta di immedesimazione, immersione ed emozione.

Inoltre dobbiamo riflettere, prima di attuare una strategia di visual storytelling che sia rivolta al mondo business oppure personal, sul fatto che le storie si contaminano a vicenda e si co-creano, in una dinamica di mutua percezione dell’altro.

Ho già detto che fare visual storytelling significa comunicare, e comunicare significa instaurare un processo di reciprocità con il pubblico (lo vogliamo chiamare: il nostro prossimo?).

Una caratteristica imprescindibile è quella della umanizzazione del brand (sia quello business che quello personal).

4) Tutte le immagini raccontano una storia? Il tuo consiglio per costruire immagini narrative.

Studiare, formarsi, non usare un approccio euristico, non tutte le immagini hanno il potere di raccontare, non tutte sono narrative per il semplice fatto di essere state ritoccate con una qualche app e immesse sui social. Emozionare non è facile, bisogna emozionarsi prima di farlo. Serve l’atto poietico, ma bisogna conoscere bene anche gli strumenti, i metodi, e quella grammatica del racconto di cui ho parlato prima. Tutto questo è possibile solo frequentando corsi di formazione e poi praticando.

Tutte le informazioni su Massimo Lico e il suo lavoro le trovate qui

Sante Alagia  – @SanteAlagia